Jesi città della seta

Mostra a Palazzo della Signoria

Una mostra che continua ad avere grande successo e per questo viene prolungata fino a tutto agosto: si tratta del percorso espositivo sulla lavorazione della seta a Jesi, nato all’interno della celebrazione di Gemma Perchi, filandaia e sindacalista locale che si è battuta per i diritti delle donne lavoratrici, avvenuta tra il 26 aprile e il 1 maggio con numerosi eventi.

Al primo piano del suggestivo Palazzo della Signoria, documenti e immagini storiche accompagnano il visitatore a ripercorrere cronologicamente “l’arte della seta”, comparsa la prima volta nella nostra regione in un documento del 1308 a San Severino.
I primi tentativi di introdurre quest’arte a Jesi risalgono verosimilmente al ‘600 e da un documento del 1673 conservato presso l’Archivio storico del Comune di Jesi apprendiamo che il Magistrato cittadino ordina la “messa a dimora” di gelsi, le cui foglie erano utilizzate come alimento base per i bachi da seta, lungo la strada del Verziere, Mercatale e nei pressi delle sponde del fiume Esino in località Moreggio.


Il mercato dei bozzoli

L’anno di svolta per la gelsicoltura e bachicoltura a Jesi fu il 1834, quando venne istituito il mercato pubblico dei bozzoli. Inizialmente si svolgeva presso il cortile di Palazzo Pianetti e dal 1855 nel cortile dell’ex Appannaggio.

Regolando il prezzo dei bachi da seta, il Comune rese agevoli le operazioni di vendita ostacolando in questo modo le azioni speculative. Ma come funzionava il mercato?
Alle sette del mattino veniva esposta una banderuola che dava inizio alla compravendita. Le operazioni di pesatura e la registrazione dei contratti venivano eseguite da impiegati, “i più nobili ed intelligenti della città”, e i prezzi massimi, medi e minimi venivano segnati giornalmente in un registro e poi affissi il giorno seguente con la firma del Sindaco. Erano presenti altri inservienti che intervenivano sulle contrattazioni, controversie e puliture della piazza.

Con l’istituzione di questo mercato i prezzi dei bozzoli aumentarono subito di un terzo e questo stimolò i proprietari terrieri ed agricoltori a voler estendere e migliorare la bachicoltura.
Nel 1858 un’inchiesta del Comune di Jesi rivelò l’esistenza di 118 proprietà con bigattiere (locale attrezzato per l’allevamento dei bachi di seta.


Il lavoro nelle filande

La prima filanda a carattere industriale, alimentata con caldaia a vapore, fu quella di Pasquale Mancini nel 1837, in via dei Macelli (oggi via Castelfidardo), dove bacinelle piene di acqua bollente venivano usate per far morire i bachi e i bozzoli venivano sfregati con una spazzola. Questo tipo di lavoro era affidato alle “sottiere”, o “scopinatrici”, ed erano impiegate anche bambine dagli 8 ai 12 anni con salari veramente bassi (da 0,05 a 0,30 lire giornaliere).
Esistevano anche le “piegatore”, chiamate così perchè piegavano le matasse, le “giuntine”, saldavano le rotture del filo di seta, la “giratora”, controllava e girava lungo le corsie di lavoro, le cernitrici, le provinatrici, ecc.
Ogni persona all’interno della filanda aveva un ruolo ben definito e il tutto funzionava perfettamente come una catena di montaggio.


Condizioni igienico-ambientali

Le condizioni di lavoro erano, però, terrificanti. Oltre il 50% delle operaie, tra il 1896 e il 1905 ebbero dei figli morti nei primi due anni di vita; le donne erano costrette a lavorare fino all’ultimo giorno del parto e ci furono anche casi di doglie all’interno delle strutture, oltre a una forte incidenza documentata di aborti spontanei.
Inoltre, la filanda era l’ambiente di lavoro maggiormente imputabile per la propagazione della tubercolosi, a causa dei luoghi surriscaldati e senza adeguata aerazione, della giovane età e dei lunghi orari di lavoro. Il tristemente noto “bacio della morte” causato dall’atto ripetuto infinite volte nell’arco della giornata di portarsi alla bocca i bozzoli macerati nell’acqua bollente per far uscire il capo del filo di seta da attaccare alla macchina filatrice, è la testimonianza più viva e sofferta.

Toccante la testimonianza di Giulia Benigni, setaiola jesina che ha lavorato per ben 55 anni all’interno della filanda, riportata per intero nel percorso espositivo. Ricorda le mani fradicie e piene di vesciche, le spalle bagnate di sudore, il poco tempo a disposizione per lei e la sua famiglia tanto da dover mangiare lungo il tragitto per andare a lavorare. Ma non è tutto: non dimentica il trattamento dispotico dei padroni delle filande nei confronti delle lavoratrici, i duri regolamenti interni da osservare, alcuni dei quali esposti in mostra.


Le lotte sindacali

Le condizioni di lavoro erano molto difficili non solo dal punto di vista fisico, ma anche per i ferrei regolamenti da seguire rigorosamente per evitare multe o espulsioni.
Non era permesso alcun ritardo, era obbligatorio il lavoro straordinario e vietato “il ciarlare ed il mangiare nella propria bacinella”. Come detto, la paga era molto bassa e si lavorava anche 12 ore al giorno e soprattutto solo in determinati periodi dell’anno, solitamente da maggio a settembre.

Sul finire dell’800, iniziarono le prime proteste e le prime lotte sindacali.
La prima protesta a Jesi di cui si ha notizia risale al 1889 con un migliaio di persone coinvolte, senza una vera e propria organizzazione di base.
I primi anni del 900 furono caratterizzati da un intenso movimento sindacale e politico: nel 1903 venne costituita la Camera del Lavoro di Jesi e nel 1905, altro grande sciopero durato ben 45 giorni delle circa 2000 setaiole partecipanti, guidate dalla passione e dalla tenacia di Gemma Perchi, anche lei setaiola, divenuta negli anni della prima guerra mondiale anche segretaria della Camera del Lavoro. Le rivendicazioni delle “sedarole” jesine, diminuzione dell’orario giornaliero a 8 ore e aumento della paga per tutti i lavoratoti degli stabilimenti tessili, vennero finalmente accolte e riconosciute il 1 maggio 1919, prime in Italia.


Un percorso documentario e multimediale

La mostra tratta in modo accurato e coinvolgente questo spaccato del nostro recente passato, attraverso documenti di archivio, libri, fotografie e filmati. Una storia che ci appartiene, che accomuna tante famiglie della nostra città e che ancora oggi ci coinvolge emotivamente.
Per il visitatore che si appresta per la prima volta a conoscere Jesi come Città della seta, l’esposizione di Palazzo della Signoria farà da guida alla scoperta di una storia fatta di fatica, umiltà e orgoglio.

Jesi città della seta

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